Lavoro, quasi metà dei giovani non si iscrive al sindacato perché non conosce la sua attività

Tra i giovani, la mancata conoscenza delle attività del sindacato e il motivo principale della della mancata iscrizione: lo hanno indicato quasi la metà degli under 34 anni (per essere precisi il 47,3%), in un’indagine condotta dalla Fondazione Di Vittorio (Cgil) tra oltre 31mila lavoratori, seguita in questa fascia d’età dal costo elevato dell’iscrizione (18,8%) e dalle preoccupazioni per le conseguenze sul lavoro (12,1%) o perché lo ritiene inutile (10,9%), eccessivamente remissivo (8%) e eccessivamente antagonista (2,9%). Guardando alla totalità delle fasce d’età, non ha preso la carta sindacale perché “non conosce le azioni del sindacato” il 29,4% dei non iscritti, e il 23,6% a seguito degli oneri elevati dell’iscrizione.
L’indagine su condizioni e aspettative degli impiegati presentata dal presidente di Fdv, Fulvio Fammoni nella giornata conclusiva del XIX congresso della Cgil, nel quale il boss Maurizio Landini ha posto come obiettivo strategico del sindacato, quello di allargare il perimetro di rappresentanza (tra i 5,2 milioni di iscritti 2,5 milioni sono pensionati) guardando anche oltre al lavoro dipendente, per ricomprendervi il lavoro autonomo, il mondo delle Partite Iva e dei collaboratori – tra i quali figurano molti giovani- , puntando all’unificazione delle tutele a prescindere dalla tipologia di rapporto di lavoro instaurato.
La principale richiesta al sindacato: l’incremento degli stipendi
I motivi principali per l’iscrizione al sindacato sono sia di carattere universalista (“perché ha un ruolo importante nell’affermare diritti e tutele”, 42,4%) sia legati a interessi più specifici, “per tutelare i miei diritti come lavoratore” (38%), “perché mi fornisce servizi utili” (11,4%) o “perché mi ha gia aiutato a risolvere i problemi” (8,3%). Riguardo agli aspetti principali sui quali il sindacato dovrebbe intervenire con più forza nel confronto con le istituzioni: al 1º posto, e con grande scarto sugli altri, si colloca il tema dell’incremento degli stipendi (68%), seguito dalla difesa e incremento dell’occupazione (44,7%) e dal contrasto alla precarietà (42,7%), indicato con forza dai rappresentanti.Seguono i temi dello sviluppo dei servizi pubblici, la lotta alle disuguaglianze e i sostegni economici in caso di povertà e disoccupazione.
Per 7 su 10 il futuro aziendale ha prospettive negative
Il 68,6% del campione ritiene che si andrà verso una riduzione del personale, il 17,8% che ci saranno delle delocalizzazioni e il 17,4% che si chiuderanno delle attività. Rispetto agli impatti delle innovazioni tecnologiche, poco più di uno su 10 (13,2%) si attende che il proprio lavoro possa essere totalmente sostituito dalla tecnologia – questa incidenza aumenta per alcune professioni come la vendita al pubblico (24%), l’addetto a impianti fissi e linee di montaggio (23%), il lavoro esecutivo d’ufficio (19%). Rispetto agli impatti qualitativi, invece, prevale una percezione positiva: il 59,1% ritiene che la tecnologia migliorerà le condizioni di lavoro. D’altra parte, il 33,8% ritiene che aumenteranno i ritmi di lavoro.
Livelli di sotto-inquadramento diffusi
Considerando i ritmi e i carichi di lavoro, viene fuori un’alta intensità del lavoro in termini di scadenze, ritmi e carichi, che si presenta in maniera elevata (“spesso”) per più di un lavoratore su 3. Altresi, i risultati evidenziano la presenza di livelli di sotto-inquadramento diffusi, con un lavoratore su 4 che “spesso” deve assumere responsabilità eccessive rispetto alle mansioni. Il campione presenta per la maggior parte dei limiti nell’autodeterminazione degli orari (non può mai sceglierli la metà del campione) e dei metodi (mai il 36,5%), così come nella partecipazione alla definizione degli obiettivi (mai il 41,8%). Viene fuori una relazione tra autonomia e innovazione: l’indice di autonomia e maggiore nelle imprese più innovative.
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