Fuga dal lavoro sanitario crisi nel Ssn
Il rapporto tra il personale sanitario e le strutture ospedaliere sta vivendo un momento di grande crisi, come dimostra la recente survey dell’Anaao sui medici ospedalieri. Questo è solo uno dei tanti segnali di un sistema sanitario pubblico che sta vivendo un profondo deprezzamento del lavoro umano, in particolare quello sanitario.
L’aziendalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, con il ricorso alle procedure gestionali tipiche del privato datore di lavoro, aveva come obiettivi il miglioramento della performance economica delle unità sanitarie locali e la valorizzazione del personale attraverso la selezione dei migliori a cui affidare la conduzione delle diverse articolazioni aziendali per ottenere il miglioramento clinico-assistenziale. Tuttavia, la realtà dimostra che nessuno di questi obiettivi è stato minimamente raggiunto.
Il personale dipendente vive il proprio lavoro nelle strutture ospedaliere con frustrazione e sofferenza, senza trovare ristoro. La situazione sembra essere speculare anche per i giovani medici di famiglia, che cercano di fuggire dal lavoro convenzionato per approdare alla dirigenza, con la speranza di trovare un ambiente lavorativo migliore.
L’autore dell’articolo, Roberto Polillo, fa notare che siamo di fronte a una crisi culturale in cui la sopravvivenza della persona e della propria identità umana e professionale è affidata alla speranza di riuscire a fuggire in una nuova realtà. Tuttavia, al momento attuale, sembra improbabile trovare riscatto.
Serve quindi una rivoluzione culturale che restituisca la dignità perduta al lavoro sanitario. È necessario un radicale cambio nell’organizzazione del lavoro, che si deve incentrare su tre profondi mutamenti:
1. Creare una nuova azienda gestita democraticamente, basata sulla co-decisione da parte di un consiglio di amministrazione plurale, che rifiuti per statuto autoritarismo e autoreferenzialità dei dirigenti.
2. Definire un ruolo specifico per il personale sanitario.
3. Attuare un nuovo contratto di lavoro che rompa con l’attuale subordinazione dei professionisti alle strutture aziendali e ridia al professionista la centralità nel processo di cura, nell’organizzazione del proprio lavoro e nell’implementazione della qualità.
Tutto questo richiede una chiara e determinata volontà politica, che al momento sembra essere assente in un contesto istituzionale profondamente trasformista come quello attuale.
In conclusione, l’articolo di Polillo mette in luce la necessità di una profonda riforma che valorizzi la risorsa umana nel settore sanitario e che cambi radicalmente il modello pseudo-aziendalistico finora adottato. Solo così sarà possibile restituire dignità e valorizzare il lavoro sanitario, ponendo al centro la persona e la sua identità professionale.
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